Critica
Testi critici di Licisco Magagnato.
La violenza spontanea di Girolamo Dalla Guarda è venata, bisogna dirlo subito, di una intima carica di ironia. Non è da dimenticare del resto che fin dalle sue origini, e specialmente negli esiti italiani di questa fondamentale esperienza del nostro secolo, l’espressionismo ha continuamente oscillato dalla protesta disperata al verso satirico; parallelamente il gesto dissacrante è sempre, nell’espressionismo, solo apparentemente osceno, mentre è sempre segretamente, e talora scopertamente, giocoso. Un esemplare punto di riferimento per questo aspetto dell’espressionismo, nei suoi risvolti italiani, resta l’opera pittorica di Maccari.
Anche per Dalla Guarda l’opera grafica è di molta importanza per capire il valore del segno nella sua pittura; la pennellata ha in lui una consistenza formale ed espressiva che è caratteristica di un artista per il quale l’esercizio grafico è di valore impegnativo e primario: il cromatismo, nelle sue stampe colorate, ha appunto una rilevanza evidente anche per il profano, e corrisponde al valore del colore dei suoi dipinti, distruttivo di ogni tracciato disegnativi e di ogni equilibrio geometrico e compositivo. Non insisterei molto sull’aspetto mostruoso dei suoi personaggi; più che da una volontà di deformazione egli è mosso da un impeto di carattere gestuale e di aggressività materia di fronte al fatto pittorico. I suoi personaggi, infatti, più che essere deformi hanno “perduto la forma”, affogando nel magma pittorico in cui restano travolti; ed è trasparente nella furia cromatica di Dalla Guarda, un piacere istintuale e per lui gratificante, che nasce dall’amore per una materia viva, brillante splendente negli accostamenti, che ricorda i felici momenti dei fauves piuttosto che le mortificanti e le laceranti tonalità espressioniste in senso stretto.
Mi sembra che l’arte di questo nuovo e fecondo pittore, che ha cominciato tardi ad esporre, ma è letteralmente travolto dalla attività artistica, dimostri una sua candida e genuina partecipazione ai segni dei tempi. E’ da notare che il suo linguaggio si è costituito nei termini attuali fin dal 1970-75, e che pur essendo ben cosciente di quanto ora avviene nei fatti dell’arte – egli non è a rimorchio di modi o esperienze altrui; nel suo carattere estroverso e irrazionale, egli ha bisogno di un dialogo e di un ascolto che spesso gli mancano; ma non c’è da temere, quello che ha dentro di sé, Dalla Guarda non lo manipola ascoltando il soffiare del vento; e proprio in questa sua spontaneità, che le sue opere chiaramente tradiscono, vi è da fare affidamento per il suo avvenire.

(Verona, 1982, Galleria Frà Giocondo)

…Dalla Guarda
nelle ultime opere del 1984-85, del resto, quello che avevamo intuito quattr’ anni fa da una sua piccola mostra veronese con cui aprì un bel giro di mostre fuori casa, si è confermato nelle forme e nei contenuti. Le sue pitture più recenti, specialmente i guazzi e gli acquerelli mostrano che il suo stile si personalizza con sempre maggiore precisione e libertà; la pennellata si identifica con il segno, il colore si intona in gamme piene di una verve spontanea, accesa e gioiosa. Ritratti pungenti come “La parrucca”, acquerelli come “La parabola dei ciechi”, “I tuffatori”, “I due personaggi”, “Angelo bianco”, o “Boule de suif”, grandi tempere come “I fischianti” o “Baccanale campestre”, piccole tele o cartoni come “Frate nero” e “Grande volto di giovane donna” danno la misura delle sue doti di vivace narratore di un moderno satyricon senza falsi pudori e manierati stilismi: torna in mente, per questo coraggioso pittore solitario, la rivolta tardo fauve di “corrente”, il suo lavoro multiforme e spregiudicato non è più una promessa in attesa di future e lontane conferme.

(Malcesine –VR-, 1985, Palazzo dei Capitani)
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