Critica
Testo critico di François Bruzzo
"L'umanità che nell'uomo muore" .
Ma tu non puoi crescere perché i burattini non crescono mai.
Nascono burattini, vivono da burattini, muoiono burattini.
"Così Collodi presta alla fata Turchina questi toni repressivi e intimidatori per ricordare a Pinocchio che gli sarà per sempre chiusa la porta dell'«essere» dell'«essere» grande. Tu non diventerai mai un vero piccolo uomo, rimarrai all'esterno dell'abitato umano, dove soccomberai alle oscure forze della notte e della strada, non diventerai mai un uomo, un adulto, ma rimarrai randagio nelle selve primordiali, piccolo fantoccio di legno ostaggio degli spiriti animali, avrebbe detto Cartesio, volpe, gatti, martore o lupi. li vecchio Geppetto, non
ce la fa a fabbricare un essere a tutti gli effetti, e se ci fosse
riuscito, nella negazione assoluto della differenza sessuale e del
sesso, fabbricando un essere senza l'intervento naturale di una
donna, avrebbe creato un piccolo mostro, fratellino di Frankenstein.

Egli ha bisogno di una donna dal corpo inesistente però,
senza sesso, che con la sua padronanza delle tecniche dell'
illusione e della magia, che annullano la ruvidezza dei reale e la
sua incandescenza, compie l'impossibile, ultimando la
fabbricazione di un diverso mostro, ma sempre un mostro,
troppo simile a noi per essere riconosciuto come tale: un uomo,
un adulto potenziale orinai intrappolato nel traffico sostenuto
che intasa l'autostrada dell'«essere». In quella favola
riecheggiano, come in una variazione fugata, oltre a miti di
creazione, momenti di sforzi umani troppo umani di
fabbricazione dell"essere nel dominante Occidente, da Platone in
poi: il pensiero cristiano che in Platone ha ulteriormente radicato
e intelaiato la sua visione delle cose, la società
dell'industrializzazione e della massificazione e il sistema
globale che non lesina sulle strategie dell'illusione per legittimare
la violenza con la quale sottomettere le molteplici culture e le
singolarità ribelli alla feroce legge dell'equivalenza.
Con l'«essere» non si scherza e non c'è più spazio per gli
scherzi e i giochi di Pinocchio, e il bambino si trova più vicino
all'animale per il suo corpo acefalo desiderante che non a suo padre
che da parte sua, che è il partito della società e del sistema di una
barbaria travestita in meraviglia, non vede ora di negargli il corpo,
confiscare il suo desiderio, il suo sesso, uccidere l'animale che lotta
in lui per sopravvivere allo scempio quotidiano delle singolarità e
dei molteplice, della differenza. Ma quando Pinocchio si salva dalle
illusioni della fata e il bambino sopravvive alla violenza e agli
incantesimi paternali , maternali e sociali, alle loro strategie di
coercizione dolce, allora, soltanto allora inventa vie sottili per
uscire dall' autostrada dell'essere, vie linguistiche sopravvissute
al crimine che le ideologie della comunicazione fanno
pesare sul linguaggio, vie della cultura, o allora, come
Girolamo Dalla Guarda, dipinge. Con animali, corpi, e visi
ci lanciamo sulle arterie predominanti, ma non
uniche, degli affondi di Girolamo Dalla Guarda.
Dico affondi, perché il tratto diventa scavo, corsa diretta
all'impatto e allo scontro con la materia dura e compatta che ottura
il nostro occhio disincantato di mummie zittite nella loro corteccia di fango essiccato. Colpi di paraurti per smuovere l'esercito delle forme che affolla le nostre
figurazioni e rappresentazioni in cui le nostre idee, le nostre
visioni, vengono rapprese dalla fitta rete delle illusioni disposte in
fila ordinata e in cui scompare e si cancella la nostra umanità, il
fondo umano negato che negli uomini muore e che l'uomo ritrova,
ritrovando il suo corpo e col suo corpo quella «rivendicazione
rivoluzionaria» di un viso di essere conforme a quel corpo denso di
pensieri animali e di appetiti, di una fame spaventosa di vivere, a
occhi aperti o ad occhi chiusi per meglio divorare il nostro mondo
interiore, tremenda fame a cui nessuna illusione, a cui nessuna
astrazione (pittorica, concettuale ecc.) potrà mai dare
ascolto. Scasso, effrazione, penetrazione il tratto.
Accumulazioni, agglomerati, gocciolìo organico, fiamigazioni di
umori, di carbone, di vino, sovrapposizioni di frange e
straripamenti il colore, che non si contiene, che non tiene o si
trattiene alla regola di un contenitore e o di un contenuto, spesso
ribelle allo stesso tratto per potere schizzare in tutti le direzioni
del destino.

Il corpo sotto la spinta dei disegno non ubbidisce
all'ordine di forme chiuse o di figure ma si espande in traiettorie
che indagano sulle possibilità dei contorno fragile e labile del
movimento, infiltrandosi nei varchi, nelle fenditure, passaggi . Nel
viso di orifizi, viso d'incavi, desedimentato, liberato dall' essere,
si erge un seme oscuro che dalle mucose sale al cervello, come un
sogno che dietro alle palpebre evapora l'anima, la spinge ai
confini della superficie porosa della pelle dove appare una
disperazione di zolfo che si scioglie in nubi gialle, in foschie
gutturali di marroni, urli di rosso, come il segreto di una vecchia
storia umana. Nessuna simulazione estetica della realtà osa
bussare a quei fogli o a quelle tele, perché la verità, bambina
capricciosa e imprevedibile che è qui padrona di casa, la
prenderebbe a calci.

Prof. François Bruzzo
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