Critica
Testo critico di Fausto Maria Bordin.
Non conosco Girolamo Dalla Guarda nella sua persona
fisica, né conosco la sua personalità di uomo.

Francamente, entrambe non m' interessano Sta di fatto che
sono venuto a contatto con la sua pittura. E questa mi avvince
davvero. Mi è stato chiesto ironicamente se vi ho scoperto
del nuovo. Ho risposto con bonimia e convincimento che il nuovo non
è essenziale in arte. Sono invece essenziali altri fattori, dei
quali parlerò fra qualche riga. So che il pittore è veneto e ciò
viene confermato dal suo geniale senso dei colore.

Ad ogni tono fanno riscontro accorti semitoni che ci portano a
comprendere come l'artista abbia assimilato la lezione di grandi
maestri, qualche francese in primo piano. Ad ogni campitura
unita, si alternano frammenti cromatici volutamente disorientati,
talvolta raccolti in concitazioni rapide, in figurazioni mordenti ed
incisive. I limiti dei vero sono vaghi, per fortuna, allontanati
all'orizzonte di una rielaborazione che orchestra pentagrammi e
ricama immagini surreali. Ma la realtà che ci sta tanto a cuore,
quella dell'anima con i suoi fermenti ed i suoi desideri nella vita
di ogni istante, è presente, è come la vogliamo noi, pronta a
parlarci della nostra umanità non sempre umana. Paesaggio o
figura, hanno un loro comunicare. Se cerchiamo la storia di noi,
ve la troviamo: evidente e trasfigurata ad un tempo, in un
colorismo da fiaba. Fiaba che può diventare favola, cioè
acquisire una sua morale. Ouesta, infatti, è la differenza
sostanziale fra i due lemmi. E questa è la differenza, altrettanto
sostanziale, fra dipinto e dipinto, nella creatività di questo
estroso pittore.
Ma sia il quadro fiaba o sia esso favola, mantiene un incanto proprio,
nonostante qualche acerbità, qualche incertezza (rare, a dire il vero)
che riflettono attimi di esitazione, oppure incompleti convincimenti.
Perché la pittura, come la vita, è un mosaico di attimi: ogni pennellata
ne è tessera e, nell'unirsi ad altre pennellate, diventa icona. E questo
incanto non dirada: continua, si espande, aleggia, anche nella
tristezza di un volto che invoca un responso, anche nell'amaro
riflesso d'uno sguardo che rimprovera una disillusione, o nel sorriso
ironico che trafigge un ricordo inverecondo, o nella confessione
senza parole d'una creatura che è bacata di dentro e non vuole che il
suo ideale muoia, oppure in un'alba che rivela soltanto i coriandoli
sparsi e smarriti nel carnevale dei nostri sogni. Girolamo Dalla Guarda,
nel suo inconscio simbolismo, suggerisce aurore di luce lontana che
infrange la tenebra e sogna rinascita, così come ammette crepuscoli
fra scarlatto e violetto che singhiozzano cruente agonie. Ed ecco che
talvolta l'incontro è minacciato da angoscioso sentire, dal ricordo
convulso che siamo prìncipi e clowns.
Così ci pervade la pittura dell'artista.
Così: nel rapporto favolafiaba.
Così: nella contraddizione avvincente fra dramma ed incanto.
E ciò, se non indica l'insegna dei nuovo o dell'originale, mantiene
quello che più conta in arte: il palpito dei nostro smarrirci o quello
della nostra redenzione.

Fausto Maria Bordin
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