Questo scarno
libretto (contiene appena 34 testi) è forse il classico episodio
collaterale nella vita di un artista che normalmente non si dedica alla
scrittura, ma che proprio per questo può dire molte cose a chi della
scrittura si occupa per passione o professione. L'autore è il pittore
Girolamo Dalla Guarda, un bell'uomo ormai cinquantenne nato in un piccolo
paese pedemontano in provincia di Vicenza, in mezzo a selve e prati aperti
e botri e colli che di giorno in giorno perdono il loro carattere di paesaggio
per assumere quello di spazi residuali, tra una fabbrichetta, una villetta
e un greve raccordo autostradale. La natura presente in questi testi è
insieme umana e geologica: quella dell'autore, dunque, e quella dei luoghi
che lo hanno visto crescere e vivere in un dialogo continuo e appassionato
con gli elementi del paesaggio. In entrambi i casi si tratta di una natura
quasi ingenua, elementare, primordiale: le tante lune che si avvicendano
sulle nostre teste e nei cuori, lune sentite come donne amate, come mamme
perse, o gelose amanti; il bosco come luogo misterioso, centro magnetico
che attrae e inghiotte, pozzo dei desideri, arca dell'alleanza, e anche
trappola mortale e scuro albergo di voci che chiamano dall'ombra; l'erba
dei prati che cresce vigorosa, sulla quale ci si adagia mollemente, respirandone
il profumo fresco e intenso; l'acqua che scorre generosa e pura, quella
della pioggia che bagna i corpi, quella dei ruscelli che luccicano tra i
rami frondosi delle selve, o le più ferme acque che alimentano le
rane e le guizzanti salamandre, al bordo degli stagni.
Dalla Guarda è un artista che nasce da questi luoghi primordiali,
che con gli anni ha affinato un suo personalissimo stile pittorico, lontano
dai compromessi del mercato, ma sempre fedele a quella prima lezione di
natura viva. La sua è una pittura che comunica tanto con i grandi
nomi dell'espressionismo, e anche della transavanguardia italiana, quanto
con altri artisti usciti dal grembo dello stesso paesaggio, per quanto meno
noti: Magagnato, Girotto, il primo Valenti, Birolli, dai quali Dalla Guarda
si differenzia per temi e sviluppo, ma con i quali si accompagna idealmente
nella stessa fedeltà a un mondo conosciuto e caro, nonché
in alcuni dei suoi tratti magistrali. Gli stessi tratti che, tradotti in
scrittura, si leggono ora in questa agile e autentica raccolta.
Ci sono poesie che sembrano scaturire da un sentire affine a quello di certa
letteratura orientale:
"Sento i profumi / mentre calpesto l'erba / indurita dalla brina. /
I suoni intorno sono cambiati, / cadono le ultime foglie, / secche accartocciate
/ come larve / sul fondo del prato; / cadono a spirale / con i piccoli fiocchi
di neve. / Vorrei fare le capriole! / Mi riparo invece nella casa / al calore
del fuoco, / e mi ricordo / che un tempo mangiavo / gli afri e lazzi frutti
/ rossi del corniolo." (Stagione).
Altre, molte altre che parlano d'amore, d'erotismo, di narcisismo sessuale,
senza mai cedere nemmeno una virgola alla bassezza o alla volgarità;
al contrario, lasciando intravvedere una profonda onestà che si traduce
in libertà, gioco, salto dell'acrobata al margine del precipizio.
Ancora, ci sono alcuni testi dedicati al padre e alla figlia: forse tra
i più intensi della raccolta. Questa poesia, per esempio:
"La madre di mio padre all'imbrunire / camminava lentamente sui prati
/ avvolta dallo scialle nero. / Pregava con il rosario nella mano, / sussurrava,
la sentivo, la vedevo / allontanarsi, macchia scura sul verde. / Mio padre
che ora ha la sua stessa età / da quei prati sale per il bosco avvolto
/ dalla nebbia e la cerca." (La madre antica).
In altri componimenti prevale invece il senso ludico, e le rime sottolineano
in modo ammiccante il tenore del testo:
"Mi piace fare all'amore con te / sul pavimento di parquet e bere /
il karkadé." (da La stanza delle luna).
In origine, la raccolta doveva intitolarsi La mangiatrice di Poesia: titolo
che ben riassumeva la pulsione divoratrice, espressionistica, eccessiva
di Dalla Guarda, moderno lupo fulvo dedicato all'arte. Poi una decisione
editoriale ha preferito orientare il lettore verso un libro-canzoniere amoroso
dedicato a una donna, celando invece il fatto che di donne, in questi testi,
ne appaiono molte. Ma forse, aldilà dei nomi di chi ha ispirato questi
testi, il sentimento che li accomuna è appunto quello dell'autore:
un sentimento di generosità totale, di intensità vitale e
vitalistica, di un'esperienza vissuta senza freni o remore, con tutta la
forza disperata e allegra di un'unica vita a disposizione. Per questo, tra
i poli che Carlo Michelstaedter chiamava della "rettorica" e della
"persuasione", il libro del pittore Dalla Guarda si pone nettamente
dalla parte della "persuasione". Non vi si trovano versi ben torniti,
rime preziose, strofe intessute di richiami fonici; nessun semiologo o filologo
potrebbe dilettarsi a interpretare questi versi dottamente, perché
la unica dottrina che potrebbe trovare è quella dell'amore onnivoro:
"Per andare sulla luna non ho / bisogno di una nave spaziale, / mi
siedo sul ciglio di un fosso / e la guardo e, / nudo tra l'erba con una
donna che / profuma di luna, / bacio il suo ventre bianco." (Sulla
luna).
E ancora:
"Pitturo il mio corpo / di verde smeraldo / e i capelli di un / blu
notturno, / mi segno gli occhi / di giallo, / ed il pene e le palle / di
rosso vivo / per uscire a cena con te, / con te, mia cara!" (A cena).
Ma ben venga una raccolta così sincera, così naïve, così
pienamente giustificata nel suo testimoniare tutto quanto ci riporta a quelle
poche, elementari cose che ci fanno uomini e donne, animali e selve.
"Ci sono verze e cavoli lucenti / di rugiada, chicchi d'uva fragola
/ sulla vigna; cadono dalle foglie / le gocce che ti bagnano i capelli /
ed il collo. / Profumi di erbe aromatiche e di cielo. / Salta il grosso
rospo giallo e io / solo guardo!".
Dagli occhi, dicevano gli antichi, nasce l'amore.
Stefano Strazzabosco
Città del Messico 2001 |