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A colloquio con un artista che per vivere ha fatto anche lo scaricatore di casse e il lattivendolo.
Dalla Guarda, con la balestra lancia i suoi dardi di colore
“Licisco Magagnato mi diceva che assomiglio al Caravaggio ma…”

L’etichetta di cattivo e minaccioso che gli hanno affibbiato (ma con affetto) gli abitanti di Isola Vicentina dove risiede in via Croce 49, non appartiene alla sua “pasta” ma gli fa comodo perché lo facilita nelle sue battaglie: pur di vincerle Girolamo Dalla Guarda, artista e pittore, accetta anche di passare per strambo, cioè un po’ matto. Vuole difendere il bosco e i suoi abitanti che strisciano, zampettano, balzano o volano? Mette in giro egli stesso la chiacchiera che in tutti i momenti percorre, novello Guglielmo Tell, il bosco a caccia di cacciatori armato di una balestra alta un metro e mezzo e costata seicento mila lire.
Una volta allontanava i cacciatori a male parole: “Adesso – dice – lo faccio con gentilezza. Dico al seguace di Diana nel quale mi imbatto: Per favore, allontanati da qui, stai disturbando i lombrichi e mi spaventi le foglie del bosco”.
Già, il bosco sinonimo di natura torna sempre nei discorsi di Girolamo. “Il bosco – commenta – fa parte della natura e la natura è venuta prima di noi e ci sopravvivrà. Amo molto la natura e la esprimo con i colori forti che preferisco, come il verde e il giallo. Il bosco lo vedo come mito. Ho scritto anche un’opera che pubblicherò con il titolo “Il guardiano del bosco”.
L’uso dei colori e l’arte del saperli far cantare ha attirato sul Dalla Guarda la burbera attenzione-stima del compianto direttore dei Musei Gino Barioli. Presenti Stocco e Giulianati che glielo avevano presentato, Barioli aveva cantato in faccia all’artista, nel sonoro dialetto veneto: “te ghe i oci da mato, non ti si gnanca bon de disegnare ma te te salvi da Dio co’ i colori (hai gli occhi da matto, non sei capace di disegnare ma sei eccezionale per i colori)”.
Un altro grande estimatore di Girolamo è stato Licisco Magagnato. “Era intenzionato a pubblicare un libro sulla mia arte – spiega Dalla Guarda – ma non ha fatto in tempo: ma mi sta dando una mano anche dall’al di là, visto che l’editore, uno di Bergamo, si è fatto vivo per dire che pubblicherà lui il libro che era rimasto nelle intenzioni di Magagnato”.
Il pittore rievoca la grande bontà di Magagnato: “Ricordo che l’ultima volta che sono stato con lui a Verona e l’ho aiutato ad attraversare la strada (era afflitto da tanti acciacchi) mi ha detto: vedi, ho sempre paura che le macchine non abbiano i freni. Può sembrare uno scherzo ma lui lo diceva sul serio, non riusciva a pensare che ci fosse qualcuno capace, magari per distrazione, di tirare sotto il prossimo”.
- Lei cita spesso Magagnato e io debbo credere a quello che mi riferisce: quale giudizio aveva di lei e della sua arte?
“Un anno prima di morire, Licisco mi ha telefonato per dirmi: guarda che sarò assente per una settimana, non cercarmi perché sono a Napoli per un convegno sul Caravaggio. Tu sei come lui, il Caravaggio. Mi farò vivo io. Ti voglio bene”.
- Il Caravaggio era un po’-tanto matto…
“Lui ne ha combinate di tutti i colori, io invece combino cose belle con i colori di cui sono innamorato. Sì, sono strambo ma profondamente serio. Nella mia stravaganza c’è ordine. Sono un anarchico che vive nelle istituzioni e le vuole umane e sane. Vede, io parlo volentieri con i giovani che mi fermano anche per strada per scambiare un’opinione. Io odio la droga e li esorto a starsene lontani. Predico i valori”.
- Anche quelli morali e spirituali?
“Certamente. Fra le mie opere c’è una bellissima cartella dedicata al libro biblico del Cantico del Cantici. E’ il frutto di una mia collaborazione con il servita Davide Montagna. In queste settimane ho lavorato quasi sempre sui Colli Berici e in particolare ad Arcugnano: ho ritratto anche alcuni bellissimi capitelli. Uno dei miei quadri l’ha voluto Don Tarcisio Pirocca, parroco di Perarolo: è la prima volta che un prete acquista una mia opera”.
- Torniamo a Magagnato e ai colori: cosa diceva della sua arte?
“Mi considerava un espressionista ma non di tipo nordico, bensì mediterraneo. Io li butto giù di getto, è una cascata di colori, una sinfonia”.
- Lei è felice o angosciato?
“Ho molto sofferto ma sono felice anche se in tribolazione, alle volte. I colori che adopero sono il frutto della carica incontenibile di voglia di vivere che c’è in me. Anche se mi staccassero la testa dal busto, penso che continuerei a vivere, tanto mi piace la vita. La stessa sofferenza del passato la vivo con sereno distacco e la vedo provvidenziale per la mia maturazione di uomo e di artista”.
E qui salta fuori la storia del ragazzino nato nel ’43 a Isola Vicentina e subito trasferito a Monteforte d’Alpone al seguito del papà carabiniere. Alle elementari ha avuto due maestri, Fasolo e Lupicino. Dalla terza alla quinta è sempre stato relegato nel banco degli asini, assieme al figlio del maestro Lupicino, titolare della classe. “Adesso il mio compagno di banco e figlio del maestro Lupicino è missionario in Africa. Proprio il banco degli asini è stata la prima accademia di pittura, perché ci divertivamo a disegnare con i colori” dice Dalla Guarda. Poi a Soave, le scuole agrarie concluse però a Malo.
- Lei di che cosa vive e come se la cava?
“Vivo del mio lavoro di artista e di pittore che però non fa guadagnare molto. Prima ho fatto di tutto: lo scaricatore di cassette di frutta e per otto anni il venditore di latte in privato”.
- Ha seguito corsi d’arte?
“No, non ne ho mai avuto la possibilità. Una volta il non avere frequentato l’Accademia mi sembrava una penalizzazione, oggi la considero una fortuna”.
- Quante mostre ha allestito?
“Tantissime. Una, l’anno scorso anche a Vicenza a S. Giacomo. Parecchie a Verona, grazie alla Cassa di Risparmio. E poi all’estero. Questa estate sono stato all’Università di Grenoble dove ho lavorato moltissimo e poi a Tenno con altri cinque-sei colleghi artisti. Sono reduce da una mostra a S. Luigi dei Francesi a Roma, voluta dall’Ambasciatore della Francia presso la Santa Sede”.
- Ha tante opere?
“Moltissime. A casa mia, a Isola. Adesso sto lavorando oltre che ai paesaggi dei Berici a tutta una serie di volti. Ogni volto è un paesaggio e la mostra di volti che ho in animo di fare la intitolerò appunto “Paesaggi”.
- Il suo desiderio?
“Sono sempre a un passo dal mercato grosso, dal giro importante ma non riesco ad entrarci. Vorrei riuscirci e aggiungo che il risvolto economico non è al primo posto di questo mio desiderio”.
- Ci sono tant,i oltre ai compianti Barioli e Magagnato, che hanno alta stima della sua arte. Ne citi uno solo però…
“Giorgio Sala. E’ un grande amico e penso che di arte se ne intenda”.

“Il Giornale di Vicenza” (anno 1989) di Adriano Toniolo
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