Arte pittorica
e culinaria si coniugano con esotica complicità nel ristorante “Il
tartufo” di Revere di Ostiglia in provincia di Mantova, sede ormai
da molti anni di esposizioni d’arte. Il pittore è il vicentino
Girolamo Dalla Guarda, che presenta una ventina tra acquerelli e pastelli
realizzati negli ultimi due anni attorno ad un soggetto a lui molto caro
e molto praticato, il ritratto, su cui egli si sofferma ancora una volta,
quasi questo tema fosse quello privilegiato per esplorare una realtà
complessa e sfuggente.
In un bell’articolo su “la Repubblica” del febbraio del
1997, lo scrittore Milan Kundera, ragionando sui ritratti dell’inglese
Francis Bacon, affermava tra l’altro che, in generale, “tutti
i ritratti, senza distinzione, vogliono svelare l’io del modello [...]
i volti sono tutti deplorevolmente uguali , si confondono l’uno con
l’altro e differiscono solo per qualche minimo particolare.”
E quando le follie della Storia hanno cancellato tutto, “che cosa
ci rimane quando si è scesi così in fondo? Il volto. Il volto
che cela il tesoro, la pepita, il diamante nascosto, quell’io infinitamente
fragile che rabbrividisce dentro un corpo. Il volto sul quale fisso lo sguardo
per trovare in esso una ragione per vivere questo accidente privo di senso
che è la vita.” . Attraverso le fattezze di un viso, dunque,
l’artista, ogni artista, svela l’identità non solo di
un particolare individuo, ma anche del complesso mondo culturale e storico
cui quell’individuo appartiene.
La ritrattistica di Dalla Guarda non fa eccezione e si inserisce in un percorso
che non è in assoluto nuovo ma appartiene anche a molti artisti del
Novecento – dagli Espressionisti a Rouault, a Soutine, a Fausto Pirandello,
a Candido Portinari, a Bacon, appunto - che guardano al corpo come metamorfosi
dello spirito. Come loro, Girolamo Dalla Guarda apporta significativi mutamenti
alla rappresentazione dell’aspetto fisico dell’uomo e cerca
di compiere un’analisi sui significati che essa vuole esprimere, nel
progressivo disfacimento della riconoscibilità oggettiva in senso
pirandelliano, verso una più profonda individuazione dell’identità.
Accanto all’obiettivo laterale, prorompente e rigoglioso in Dalla
Guarda, di affabulare vertiginosamente per mezzo di segni rapidi e vigorosi,
vi è dunque anche quello, non dichiarato, di evidenziare un disagio
esistenziale, la frantumazione del soggetto, l’aggregazione dei diversi
sistemi dell’io mediante una forma essenziale, sicuramente deformata,
in coincidenza non casuale con la “scoperta” di un inconscio
e quindi di un’esplorazione di alcuni dei numerosi aspetti dell’animo
umano. Egli compie in termini pittorici quel lavoro d’indagine che
Freud andava sviluppando per vie scientifiche, in cui diviene centrale rappresentare
l’agitarsi caotico dei pensieri nella mente, colto anche dalle avanguardie
storiche, ad esempio nel suo terribile inverarsi nella dimensione collettiva
ma asociale, brutale, irrazionale della guerra. Il volto si trasforma allora
in una maschera, emblematica allegoria delle contraddizioni dell’esistenza.
Dalla Guarda opera in questo alveo con un’impostazione estremamente
personale, non riconducibile a formule note e collaudate. La sua scrittura
pittorica è incisiva, veloce, minimalista e ironica. Spesso scomoda
e, come dice il filosofo Gadamer a proposito di alcuni ritratti di Otto
Dix, di uno “stile di nuova bruttezza”; essa sospinge con violenza
i soggetti costringendoli nello spazio angusto del primo piano, elimina
i dettagli. Anche il colore viene usato con parsimonia, mai con finalità
estetiche ma quasi soltanto per non far dimenticare che nel mondo reale
esiste.
Un nuovo, selvaggio “volto del volto”, dunque, con cui vale
la pena di andare a confrontarsi in questa mostra che rimarrà allestita
fino al 30 settembre e potrà essere visitata tutti i giorni, escluso
il giovedì, turno di chiusura del ristorante.
“il Giornale di Vicenza” - 17 settembre 2003, di Giovanna Grossato |